Tra Storia e Rievocazione

Dal 1978 il Centro Sportivo Italiano organizza il Palio di Parma riscoperto in quegli anni da Don Enrico Dall’Olio nel corso delle sue ricerche per la stesura del libro Sagre Mercati e fiere di Parma e provincia pubblicato nel 1979 dall’Arte grafica Silva, cui hanno fatto seguito alcuni miei contributi come responsabile storico del palio.

Se al momento della prima riproposizione il Palio era considerato una manifestazione folkloristica, nel corso del tempo, di pari passo con il crescente interesse per la storia soprattutto non accademica, le manifestazioni di questo tipo sono aumentate e attorno a loro si è sviluppata anche una preziosa riflessione teorica che stimola gli organizzatori a promuovere, attraverso questo tipo di eventi, la conoscenza storica e la cultura locale.

L’esposizione seguirà prevalentemente l’ordine cronologico come vuole la storia, senza tuttavia escludere l’ordine logico, cioè per argomenti simili, onde evitare ripetizioni.

Parole-chiave:

❖ Drappo prezioso, dipinto assegnato come premio al vincitore di una gara;

❖La gara nella quale viene offerto come premio;

❖La festività religiosa nella quale si svolge la manifestazione. Questo aspetto è particolarmente importante perché nel periodo storico che a noi interessa, la commistione tra la vita religiosa e la vita civile era molto forte: si faceva tutto in nome di Dio;

❖Il periodo storico di riferimento.

Una rievocazione presenta un 50% di spettacolo ed un 50% di storicità.

La spettacolarità della manifestazione consiste nel corteo, nella benedizione del Drappo, nell’esibizione degli sbandieratori, di musici e cantori, nella rievocazione ricostruttiva di aspetti quotidiani della vita medievale (combattimenti, gare con l’arco storico, villaggio medievale…).

La storicità del Palio di Parma è stata individuata partendo dalla consultazione delle fonti, in particolare del Chronicon Parmense, degli Statuti cittadini, dell’Ordinarium Ecclesiae Parmensis, delle gride e degli studi sulla storia della città. I risultati della ricerca sono di seguito presentati in un excursus che va dalla menzione della manifestazione nel Chronicon sotto l’anno1314 agli albori dell’Età moderna e toccano aspetti della vita politica e dell’evoluzione urbanistica cittadina (l’espansione dedlà dal’àcua, le porte…).

“INFORMAZIONE”, 24 settembre 2008, pagina a cura di Valentina Vida, titolo del taglio basso: “Originario dello stesso paese di Antonio Allegri il signore che ideò il pallium per la fidanzata”. Si tratta di una imprecisione storica: è infatti Ghiberto da Correggio ad approfittare della festa, molto amata e frequentata dai parmigiani, per solennizzare, al cospetto del populus e dei magnati parmensi convenuti numerosi alla corsa, la pace appena conclusa con la fazione dei Rossi e fidanzarsi con Maddalena, figlia dell’antico nemico.

Ghiberto da Correggio

Il fidanzamento con Maddalena Rossi è il canto del cigno di Ghiberto. Il suo dominio su Parma è ormai prossimo alla fine: a procurarne la caduta nel luglio1316 saranno proprio il genero Gianquirico Sanvitale e i cognati Rolando Rossi, Paolo Aldighieri, Bonaccorso Ruggeri. Rifugiatosi a Castelnuovo, nonostante i numerosi tentativi, non riuscirà più a rientrare in città. A Castelnuovo morirà nel luglio del 1321. Il dominio di Ghiberto su Parma dura dal 1303 al 1316, con una breve interruzione nel 1308, così da permetterne due periodizzazioni: 1303-1308 e 1309-1316. 

Le note che seguono toccano la biografia del da Correggio e illustrano alcuni aspetti della sua condotta politica.

1303-1308

Di Ghiberto, contemporaneo di Dante, si ignora la data di nascita; il Chronicon Regiense lo ricorda il 1° maggio 1301 quando, al seguito di Ugolino Rossi, si reca a Reggio per sposare una figlia di Gerardo da Camino, signore di Treviso, guelfo poi passato sotto le insegne di Arrigo VII. Ghiberto è al secondo matrimonio, poiché si ha notizia, non datata, di sue nozze con una Malaspina sorella di Francesco (Franceschino), noto per aver generosamente ospitato Dante. Da questo matrimonio nascono Simone e forse le figlie maritate nel 1307.

Ghiberto si affaccia in quegli anni alla vita politica, dunque doveva aver raggiunto almeno i trenta anni, età necessaria per l’accesso alle cariche.

Nel 1295 la fazione guelfa popolare, guidata da Guido da Correggio, padre di Ghiberto, e da Ugolino Rossi, seguiti dal vessillifero di Santa Maria, protettrice della città, aveva cacciato il vescovo Obizzo Sanvitale e la parte guelfa nobilesca, perché sospettato di voler sottomettere la città ad Azzo d’Este. Seguono due anni di scontri tra Comune di Parma e fuoriusciti, finché nel 1297 si stabilisce una tregua, non particolarmente generosa nei confronti della pars Episcopi perciò non pienamente accettata dai Sanvitale e dai loro sostenitori. Nel 1299 muore Guido da Correggio: l’evento restituisce speranze ai guelfi estrinseci i quali riprendono a saccheggiare i dintorni di Parma. In città la prospettiva di una nuova guerra getta nello sgomento i membri delle corporazioni di arti e mestieri che, per prosperare economicamente, avevano bisogno di dedicarsi alle loro attività, senza esserne distratti dal servizio militare obbligatorio, ancorché da prestare a rotazione secondo le porte di appartenenza. Sui contribuenti gravavano inoltre le imposizioni straordinarie necessarie per retribuire i mercenari arruolati nell’esercito comunale. A Piacenza le città della Lombardia stabiliscono di riammettere tutta la parte guelfa bandita. La maggioranza della popolazione di Parma è altrettanto favorevole alla pace; tra i cittadini si fa strada l’idea di accogliere anche ghibellini ed altri fuoriusciti, solo i Rossi si mantengono contrari ad ogni proposta di pacificazione. Nel 1303, mentre il Consiglio delibera il rientro di soli trentatré partigiani del Vescovo, Ghiberto sostiene apertamente che per assicurare una pace duratura è necessario consentire il rientro in città a tutti gli esponenti della pars Episcopi. La proposta, in aperto contrasto con la politica del padre e dei Rossi, è accolta. Il perdono riguarderà anche i condannati per reati penali (malefizio): alla fine il numero dei riammessi salirà a trecento.

Ghiberto viene acclamato defensor sanctae pacis ecclesiae, mercadancie et artium protector et gubarnator ed investito del potere con i vessilli di Santa Maria e del Carroccio. L’abilità politica di Ghiberto gli frutta la signoria poiché, fin da i tempi di Augusto, il popolo contraccambia la pace interna con il dono del potere. In cambio della stabilità, il governo signorile sovverte il principio della temporaneità (e dell’alternanza) delle cariche.

Il successo gli aliena però i Rossi che diverranno suoi implacabili nemici. Jacopo di Guglielmino Rossi, promesso sposo di Beatrice figlia di Ghiberto, sancisce la fine delle precedenti buone relazioni ripudiando la promessa; inoltre l’interra famiglia, in segno di protesta, si ritira nei propri castelli del contado.

La città si dimostra desiderosa di pace sociale ma incapace di mantenerla stabilmente perché impossibilitata a rimuovere le cause profonde dei dissidi. Doveva fare i conti con le ambizioni delle famiglie dominanti che, pur della stessa parte, mal sopportavano le limitazioni al loro potere implicate dalla partecipazione alla gestione del Comune dei guelfi popolari, espressione delle arti e dei mestieri.

Per governare, Ghiberto ha bisogno del favore del popolo e del sostegno della pars Episcopi, che tuttavia non è sempre in grado di mantenere. La necessità di conservare il potere lo costringe a nuove alleanze e a cambiamenti di fronte.

Nel 1305 si diffondono voci di guerra: i Rossi starebbero raccogliendo armati nel castello di Segalara per muovere contro Parma. Una spia è scoperta e uccisa dai Rossi, ed il cadavere portato in città. Scoppiano tumulti, la parte popolare non può sostenere l’urto degli avversari. In seguito a tali moti, furono banditi molti della parte dei Lupi e dei Rossi, le loro case comprate da Comune e distrutte ed infine confinati cinquanta popolani di parte guelfa. Il Correggio richiama in città molti di parte ghibellina allo scopo di procurarsi nuovi sostenitori.

Intanto si scopre una congiura ordita da Rossi e Lupi per spodestare Ghiberto e consegnare la città ad Azzo d’Este. Ghiberto approfitta della circostanza per cercare di rafforzare il proprio potere stringendo nuove alleanze, per esempio guadagnandosi l’appoggio dei ghibellini appena richiamati, e liberarsi degli avversari.

Ghiberto governa la città prescindendo dagli Statuti, applicati solo per quanto riguarda le disposizioni amministrative. Inoltre non dimora nei palazzi comunali ma nel fortificato palazzo vescovile, dal quale il titolare della cattedra, Papiniano della Rovere (1300-1316), era spesso assente perché vice-cancelliere della Curia papale ma che considerava comunque un abuso la presenza di Ghiberto nelle pertinenze vescovili. Stare in un luogo diverso dai palazzi comunali, dove si esercitava istituzionalmente il potere, comporta per Ghiberto un calo dell’appoggio del Populus e dei magnati cittadini.

Il 24 marzo 1308 tra alcuni cortigiani di Ghiberto sorge una contesa; anche il signore interviene per sedarla restando lievemente ferito ad una mano. Per togliere ulteriori pretesti al riaccendersi del litigio, esce per una passeggiata a cavallo attraverso la città. Ma l’episodio scatena la tensione accumulata che presto si trasforma in tumulto e le parti si affrontano armi alla mano. La sera del 25 si combatte a Capoponte: la Pars episcopi ed i ghibellini hanno il sopravvento sui guelfi popolari. Ghiberto non prende parte agli scontri ma invia il Podestà con una scorta e alcuni dei più importanti cittadini perché convincano i tumultuanti a deporre le armi. Gli inviati parlano di pace ma sembrano al contrario soffiare sul fuoco. Nel frattempo la notizia aveva raggiunto Cremona dove si trovavano Rossi e Lupi, i quali immediatamente organizzano una spedizione per raggiungere Parma. Giunti a Viarolo apprendono della sconfitta della parte loro ma, anziché ritirarsi, con una trentina di cremonesi raggiungono la città. Superano S. Ilario arrivando a Porta Santa Croce; qui devono fermarsi.

Ghiberto, consapevole del pericolo, accorre alla porta. Sottostimando il numero degli attaccanti, ordina l’apertura di Santa Croce ma agli assalitori si aggiungono numerosi appartenenti alla corporazione dei Beccai. Si sgancia, e rientra verso la piazza inseguito dalla turba che grida pax pax, populus, populus. Il tumulto si estende a tutta la città, Ghiberto è costretto a ritirarsi a Castelnuovo. I vincitori si abbandonano al saccheggio; assaltano il palazzo comunale e il palazzo vescovile distruggendo i documenti, gli atti e i registri ivi conservati. Ristabilito l’ordine, la parte guelfa popolare, ripreso il sopravvento, si dimostra intransigente verso tutta la Pars imperii ed i guelfi tiepidi, insorgendo nel maggio al grido: moriantur ghibellini et guelphi intraversati; vivat vivat populus et pars guelpha.

Riprendono i saccheggi ma la situazione favorisce Ghiberto perché a lui ritornano coloro che l’avevano testé abbandonato e ai quali il Comune aveva affidato la difesa di castelli del contado. Convocato l’esercito generale, i parmensi muovono contro le truppe di Ghiberto. Lo scontro avviene a Enzola; i parmensi sono pesantemente sconfitti; Ghiberto ordina ai suoi di non infierire sui vinti. Tuttavia, trascurando la clemenza del vincitore, Parma, validamente difesa da Ziffredino della Torre, giunto da Milano con duecento cavalieri, non gli apre immediatamente le porte. La pace è giurata, il 28 gennaio 1309, Ghiberto potrà rientrare in città solo il 29 giugno successivo.

1309-1316

Come nel 1303, si tratta di una pace generale che riguarda tutti i fuoriusciti, compresi i condannati per malefizio, cioè per reati di carattere penale.

Si riafferma il potere comunale, il quale tuttavia non si dimostra capace imporsi alle fazioni in lotta: Podestà e Capitano del Popolo rinunciano al loro incarico senza aver preso servizio. Nell’agosto del 1309 Rossi e Lupi vengono nuovamente cacciati da Parma, come avverrà in seguito per altri accusati di essere partis Rubeorum. Questi allontanamenti rafforzano il potere di Ghiberto teso ad ottenere la pubblica conferma della sua autorità. Cercherà nel popolo, nell’Imperatore poi nel re di Napoli la sanzione legale e morale indispensabile a chi governa.

Nel 1310 Ghiberto è Podestà dei Mercanti, carica che aveva permesso al suo avo materno Ghiberto da Gente di ottenere la signoria di Parma ed esercitare il potere dal 1253 al 1259.

Formalmente Parma rimane un Comune, ma Ghiberto da Correggio ne è, anche all’esterno, considerato il signore; inoltre è celebre, e a ragione, come esperto capo militare.

Il vescovo Papiniano tenta una mediazione tra Ghiberto e i fuoriusciti i quali non accettano le condizioni di pace, accrescono i loro seguaci e minacciano la sicurezza del contado.

Sotto le bandiere dell’imperatore

Intanto Ghiberto, alla mercè delle parti, accoglie con favore in città l’ambasceria inviata dall’imperatore Arrigo VII (il veltro dantesco). Nonostante la sua fama di guelfo (peraltro molto tiepido), Ghiberto è invitato all’incoronazione dell’imperatore (Milano, 6 gennaio 1311) e in quell’occasione creato cavaliere.

All’incoronazione assistono solo due guelfi: uno è Ghiberto, l’altro Ponzone de’ Ponzoni da Cremona.

Arrigo proclama la pace generale. Ghiberto libera i carcerati; intanto l’imperatore invia un proprio vicario a Parma e dichiara Borgo San Donnino terra imperiale affidandola al vicario Tolomeo de’ Pelizzoni, fratello del vescovo Papiniano (31 gennaio 1311). Nuova insurrezione dei Rossi, che tuttavia rafforza politicamente Ghiberto (25 febbraio 1311).

L’antico concetto dei guelfi fedeli al Papa e dei ghibellini fedeli all’Imperatore è ora ormai ampiamente superato, dal momento che i più -ricorrendo ora all’uno ora all’altro- intendono prima di tutto soddisfare le proprie ambizioni di potere. Il vescovo Niccolò di Butronto nota: Guelphi essent plures quam Ghibellini et ditiores et potentiores.

L’imperatore è costretto a piegare verso i Ghibellini.

Ghiberto segue Arrigo all’assedio di Brescia (maggio 1311) e in quell’occasione dona al sovrano la corona di Federico II caduta nelle mani dei parmigiani nel 1248 dopo la conquista della città di Vittoria. Con questo gesto, Ghiberto spera di ingraziarsi ulteriormente Arrigo e di ottenere il vicariato imperiale di Parma – titolo già conferito a Matteo Visconti per Milano e a Cangrande della Scala per Verona-, conseguendo finalmente la sanzione formale al proprio potere. Ghiberto riceverà, invece, il dominio su Guastalla e il vicariato di Reggio, per lui carica poco più che onorifica che tuttavia eserciterà fino al febbraio 1312.

Capo della Lega guelfa

Privo del riconoscimento imperiale, Ghiberto, per mantenere il potere su Parma, deve controllare il Populus, che dopo il 1308 ha ripreso il sopravvento in città, contenere le mire dei magnati parmigiani sempre alla ricerca di una riscossa e, all’esterno, far fronte a Matteo Visconti e Cangrande della Scala.

Convocato da Arrigo a Pavia nel settembre 1311, Ghiberto, giunto al Po fra Tortona e Pavia, è segretamente informato che l’imperatore intende arrestarlo. Della fedeltà di Ghiberto ha sempre dubitato il vescovo di Butronto. Cessato il favore di Arrigo, Ghiberto nel novembre 1311 abbandona la Pars Imperii per riaccostarsi ai Guelfi che andavano sempre più rafforzandosi. Nel dicembre successivo -dietro compenso di 30.000 lire bolognesi – è capo della Lega guelfa.

Anche Filippone di Langosco, signore di Pavia, si ribella ad Arrigo. Ghiberto, vedovo per la seconda volta, ne sposa la figlia Elena (19 gennaio 1312), che morirà a Parma pochi mesi dopo le nozze.

Per la ribellione, Ghiberto è condannato da Arrigo ad essere privato di titoli e averi e sospeso alla forca con il genero Gianquirico Sanvitale, marito di Antonia da Correggio, sposata nel 1303, e Obizzino da Enzola. Si rafforza il Correggio; i Rossi si accostano ai ghibellini e, muovendo dalla roccaforte di Medesano, occupano la torre di Sinibaldo Fieschi a Borghetto del Taro, località non lontana dall’odierna Castelguelfo (novembre 1312).

Nel timore di non poter adeguatamente difendere la città, Ghiberto fa murare le porte, lasciandone aperte solo cinque (dicembre 1312).

Stretto da ogni parte, propone al Comune di sottomettersi al Re Roberto di Napoli (marzo 1313). La fedeltà al sovrano angioino è giurata nel maggio successivo. Imperatore, Visconti e altri capi ghibellini assediano Parma, superano il sobborgo di Sant’Ilario e raggiungono Porta Santa Croce, ma la città resiste. L’assedio è levato.

La difesa di Parma consolida la fama di condottiero di Ghiberto, re Roberto gli concede il titolo di Capitaneus regius. L’autorevolezza di Ghiberto è ulteriormente riconosciuta in patria e all’esterno. Nel frattempo Giovannino Sanvitale abbandona Ghiberto ribellando al Comune il castello di Montechiarugolo (12 agosto 1313), in seguito riconquistato.

Il 24 agosto 1313 Arrigo VII muore improvvisamente a Buonconvento (Siena). Per ostacolare il passaggio dell’esercito tedesco, diretto verso Borgo San Donnino, tutti i pozzi fino a San Pancrazio sono riempiti di letame, affinché i soldati non possano accamparsi. Fortunatamente le truppe imperiali non arrecano danni al territorio.

La scomparsa di Arrigo indebolisce ulteriormente i ghibellini: per esempio Gabrietto Scorza che teneva il castello di Paderno fa pace con Ghiberto e rinforza il vincolo sposando la nipote del correggese.

Gli ultimi anni (1314-1316)

Ghiberto governa Parma restringendo i consigli, in modo da poter raccogliere nelle sue mani il potere. Dopo anni di guerre, è fortemente sentito il bisogno di pace.

Nel luglio 1314 accade un evento che può favorire accordi tra le parti. In Borgo San Donnino, dove si raccoglievano tutti i fuoriusciti parmensi, scoppia, tra ghibellini e Rossi, rappresentanti della pars Ecclesiae, una rissa nella quale è leggermente ferito Rolando di Guglielmino Rossi. I Rossi abbandonano Borgo San Donnino per ritirarsi a Soragna. La scissione indebolisce gli avversari di Ghiberto che approfitta della situazione per proporre una pace alla parte guelfa e rinsaldare il patto sposando Maddalena, figlia di Guglielmino Rossi. Il giorno 11 agosto la pace è divulgata. Il 15 agosto, festa di Maria Vergine Assunta, protettrice di Parma, mentre si correva lo Scarlatto, e il Correggio stesso col Podestà, circondato da cavalieri, soldati e innumerevole turba di popolo, assisteva al divertimento, entrarono in città i Rossi con tutti i loro seguaci, accolti con manifestazioni di gioia dai cittadini. I rientrati pranzano con Ghiberto, assistono alla corsa e si dà luogo ad ulteriori festeggiamenti. Il 1° settembre successivo sono celebrate le nozze tra Ghiberto e Maddalena; al pranzo partecipano trecento gentildonne delle principali famiglie parmensi.

Il 26 luglio 1315 viene giurata la pace anche con i fuoriusciti parmensi della pars Imperii, i quali rientrano in città il 10 agosto successivo. Nota il cronista che da oltre cinquant’anni non s’era vista la cittadinanza -prossima a celebrare la Madonna d’Agosto- così raccolta tutta quanta in pace entro le mura.

Minacciato all’esterno da Visconti e Della Scala, Ghiberto accetta la signoria di Cremona, mentre a Parma, che ormai riteneva fedele, gli si prepara il tradimento.

Il 25 luglio 1316 si leva in città un improvviso tumulto. Armati girano per la città gridando minacciosi: populus, populus et moriatur dominus Ghibertus de Corigia. Abbandonato da tutti, Ghiberto non osa presentarsi in piazza e con il fido fratello Matteo ripara a Castelnuovo. Orditori della congiura i suoi stessi congiunti: Gianquirico Sanvitale suo genero, Rolando Rossi, fratello di Maddalena, suo cognato, Obizzo da Enzola marito di una consanguinea germana di Ghiberto, Paolo Aldighieri e Bonaccorso Ruggeri suoi cognati.

Ghiberto non riesce a salvare la propria signoria destinata a soccombere davanti alle maggiori, territorialmente più estese, di Visconti e Scaligeri.

Dopo la cacciata di Ghiberto, il potere ritorna nelle mani del Populus e le istituzioni si affrettano a promulgare leggi antimagnatizie, tuttavia Parma in breve tempo avrebbe perso la propria autonomia.

Ghiberto muore a Castelnuovo nel luglio del 1321.

PARTES

Si verifica, in generale un accostamento tra guelfi e ghibellini. Le famiglie badano più al soddisfacimento delle ambizioni personali che alla fedeltà alla parte politica.

Pars antiqua Ecclesiae

raccolti nei i c.d. Quattro mestieri: Beccai, Fabbri, Calzolai, Pellicciai,

Nel 1295, il Populus, capeggiato da Guido da Correggio, Rossi e Lupi, caccia il vescovo Obizzo Sanvitale e la Pars Imperii et Episcopi.

Nel 1305 i Rossi sono confinati; nel 1308, i Beccai impediscono di recare soccorso a Ghiberto.

La fazione è guidata da Rossi e Lupi.

Pars Imperii et Episcopi

Fusione di parti antiche con fondamento nobiliare:

Ghibellini e Guelfi sostenitori del vescovo Obizzo Sanvitale.

Pars Nova

Nel 1303 Ghiberto è super partes.

Dopo la cacciata dei Rossi e il rientro dei Ghibellini, Ghiberto si inimica la Pars antiqua Ecclesiae.

La Pars Nova si incontra dal 1307,

raduna i devoti a Ghiberto.

Guelfi di estrazione popolare

Parma e il suo Comune dopo Ghiberto, Cronologia 1326-1525.

1326: Bernardo del Poggetto è investito del dominio di Parma da papa Giovanni XXIII.

1326 ottobre-1328 settembre: Parma sotto il governo pontificio è retta da Passerino della Torre.

1329, novembre: Ludovico il Bavaro entra in Parma, ne esce il 7 dicembre nominando Marsilio de’ Rossi suo vicario.

1331-1333: Giovanni di Lussemburgo, re di Boemia, è signore di Parma, Rolando Rossi è suo vicario dal 1331 al 1335.

1335-1341: Alberto e Mastino II della Scala (figlio di Beatrice da Correggio) signori di Parma.

1341, 22 maggio: Rivolta popolare. Azzo Simone e Guido da Correggio si impadroniscono della signoria.

1344: Azzo da Correggio vende la signoria a Obizzo d’Este, signore di Ferrara.

1346, 22 settembre: Obizzo d’Este consegna la città a Luchino Visconti.

1447: con la morte del duca Filippo Maria termina il dominio dei Visconti.

1449: Parma si arrende a Francesco Sforza, duca di Milano.

1494: Ludovico il Moro è signore di Parma.

1499: Luigi Trivulzio è governatore di Parma in nome del re di Francia Luigi XII.

1512: Parma è reclamata dallo Stato pontificio.

1515: Dopo la vittoria dei francesi a Marignano, Massimiliano Sforza, figlio del Moro, recupera la città.

1521: Francesco Guicciardini, commissario e governatore, prende possesso della città in nome della Chiesa.

Bibliografia

M. DALL’ACQUA. M. LUCCHESI, Parma città d’oro, E. Albertelli, Parma, 1979.

R. GRECI, Origini, sviluppi e crisi del Comune, in Storia di Parma, vol. III, Parma medievale, T. I, a cura di R. GRECI, Poteri e Istituzioni, MUP, Parma, 2010, pp. 115-167.

S. LEPRAI, La società urbana. Conflitti e strumenti di pacificazione, in Storia di Parma, vol. III, T. 2°, a cura di R. GRECI, Parma medievale, Economia, Società, Memoria, pp. 313-347.

M. MELCHIORRI, Vicende della signoria di Ghiberto da Correggio in Parma, Archivio Storico per le Province Parmensi, n. s. VI (1906), pp. 1-195.

G. MONTECCHI, Correggio, Giberto da, in Dizionario Biografico Treccani.


Nel 1986, per diffondere la conoscenza del Palio, il Centro Sportivo, in collaborazione con la Cooperativa “Renzo Pezzani”, organizzò, avvalendosi del contributo di noti studiosi, alcune conferenze aperte alla cittadinanza.

Marzio Dall’Acqua trattò La Repubblica Parmigiana. Nascita ed evoluzione delle libertà comunali. In apertura, il relatore individuò un elemento di debolezza del Comune di Parma (argomento che richiederebbe indagini dedicate) nella mancanza di una figura di santo (storico o leggendario che fosse) attorno alla quale costruire una Legenda aurea che fungesse da sostrato ideale alle radici della nuova comunità sociale che si andava formando. Questo processo si può invece osservare nella vicina Fidenza che si è raccolta attorno a San Donnino martire (III secolo, inizi del IV) celebrandone il culto ab antiquo e ricevendone il nome (Borgo San Donnino) che conserverà fino al 1927. Nessun’altra località contesta ai fidentini il possesso delle reliquie di Donnino, quindi è probabile se non certo che il santo abbia subito il martirio in quei paraggi. La leggenda racconta che, dopo la decapitazione, il martire, raccolto il capo troncato, superasse il torrente Stirone e dopo un percorso di duecento metri si accasciasse al suolo indicando così il luogo deve desiderava essere sepolto. Donnino è un santo cefaloforo ed eponimo. Il primo oratorio a lui dedicato risale al VI secolo; segue, nel secolo IX, la basilica più antica fino alla costruzione, nel XII secolo, della attuale monumentale che riporta in facciata dieci sculture di scuola antelamica raffiguranti la vita del santo, rappresentato in abito militare in quanto cubiculario dell’imperatore Massimiano.

A san Donnino si ricorre per essere guariti dall’idrofobia; gli è attribuito il salvataggio miracoloso, nel crollo del ponte sullo Stirone, di numerosi devoti (tra i quali una donna gravida) e il ritrovamento di un cavallo rubato ad un viaggiatore in transito da Fidenza. Culti, questi ultimi, legati alla Via Francigena.

La devozione per la Madonna Assunta, diffusa tra i parmigiani ancor prima della consacrazione della cattedrale da parte di papa Pasquale II nel 1106, era sicuramente sentita e ben radicata in città, come ricorda Donizone nella Vita Mathildis (1115).

È alla protezione della Vergine che la città attribuisce il soccorso ricevuto in occasione della vittoria su Federico II nel 1248. Il culto di sant’Ilario come patrono di Parma è tardo (1266) e importato dagli Angioini ma si affermerà nel corso del tempo. Per quanto maggiormente qui interessa, ricordiamo alcuni eventi significativi per la città che i protagonisti hanno fatto cadere in coincidenza del giorno della Madonna d’agosto oppure solennizzato e ufficializzato alla presenza del vessillo di Santa Maria.

Il giorno dell’Assunzione del 1253, Ghiberto da Gente si presenta in cattedrale accompagnato dal seguito armato di cinquecento uomini del Consorzio di Santa Maria da lui fondato e ottiene il consenso alla signoria da parte dei nobili e dei popolani più influenti.

Nel 1295 Guido da Correggio, padre di Ghiberto, e Ugolino Rossi, seguiti dal vessillifero di Santa Maria, cacciano la parte guelfa nobilesca e il vescovo Obizzo Sanvitale perché sospettato di voler sottomettere la città ad Azzo d’Este.

Nel 1303 Ghiberto da Correggio, dopo aver concluso la pace con fuoriusciti della pars Episcopi, viene acclamato defensor sanctae pacis ecclesiae mercadancie et artium protector et gubernator ed investito del potere con i vessilli di Santa Maria e del Carroccio.

Nel 1314, infine, lo stesso Ghiberto sceglie il giorno dell’Assunta per solennizzare la pacificazione con i Rossi. Il 15 agosto, festa di Maria Vergine Assunta, protettrice di Parma, mentre si correva lo Scarlatto, e il Correggio stesso col Podestà, circondato da cavalieri, soldati e innumerevole turba di popolo, assisteva al divertimento, entrarono in città i Rossi con tutti i loro seguaci, accolti con manifestazioni di gioia dai cittadini. I rientrati pranzano con Ghiberto e si dà luogo ad ulteriori festeggiamenti. La dormitio Virginis e l’Assunzione sono tra le più antiche feste mariane in Oriente e in Occidente; nel 1950 (Munificentissimus Deus, 14 agosto) l’Assunzione diviene dogma. I dogmi rappresentano riconoscimenti e ufficializzazioni di credenze e tradizioni già diffuse nel seno della comunità della Chiesa. I dogmi non affermano qualcosa di nuovo nel campo della fede, ma intendono difendere da attacchi contrari alla stessa fede una tradizione già esistente. Ad esempio la definizione della divinità di Cristo contro l’arianesimo (Concilio di Nicea, 325) o la proclamazione di Maria madre di Dio non certo perché la natura del Verbo o la sua Divinità avesse avuto origine dalla santa Vergine, ma poiché nacque da lei il santo corpo dotato di anima razionale a cui il Verbo è unito sostanzialmente, si dice che il Verbo è nato secondo la carne. Gesù Cristo è dunque un’unica persona, le cui due nature, divina e umana sono inseparabili (Concilio di Efeso, 431).

Verso la fine del secolo VI, l’imperatore Maurizio estende la festa a tutte le regioni dell’impero fissandola al 15 agosto. La festa si giustifica come culmine della vicenda di Maria: consacrazione del corpo di Maria mediante la maternità divina, l’onore dovuto dal Figlio alla Madre, l’unione effettiva tra la Madre e il Figlio, la concezione e la nascita virginale del Figlio, l’onore di Maria come nuova Eva.

Gli Statuti e dall’Ordinarium regolano minuziosamente la celebrazione della festa.

Fonti

SALIMBENE DE ADAM, Cronaca, Trad. italiana di B. ROSSI, Radio Tau Bologna, 1987, p. 275.

Ordinarium Ecclesiae Parmensis, a cura di L. BARBIERI, Parma 1856. 

Bibliografia

R. GRECI, Origini, sviluppi e crisi del Comune, in Storia di Parma, vol. III, Parma medievale, T. I, a cura di R. GRECI, Poteri e Istituzioni, MUP, Parma, 2010, pp. 115-167.

G. LAURIOLA, ofm, Assunzione della Beta Vergine Maria, 15 agosto, santiebeati.it

M. MELCHIORRI, Vicende della signoria di Ghiberto da Correggio in Parma, Archivio Storico per le Province Parmensi, n. s. VI (1906), pp. 1-195.

A. TAGLIAVINI, Il Palio di Parma, in PMP, anno I, numero 5, (giugno, luglio, agosto 1989), pp. 9-14.

G. TAMMI, San Donnino di Fidenza, martire, 9 ottobre, santiebeati.it.


L’episodio della presa di Vittoria e la ragione del cartiglio posto intorno allo stemma comunale resi dai fumetti.

A fronte delle scarsissime testimonianze giunte fino ad oggi, gli Statuti costituiscono il documento più attendibile sull’organizzazione e sul controllo della vita politica, economica e sociale esercitato dal Comune nei secoli XIII e XIV. Nel 1255 gli statuti erano stati redatti in quattro copie: la prima destinata alla chiesa cattedrale, la seconda al Podestà e alla sua «famiglia», cioè ai suoi collaboratori, la terza al Consiglio, la quarta legata con una catena davanti al palazzo comunale, a disposizione del pubblico: quest’ultima copia è quella giunta fino ad oggi. Lo statuto del 1255 è diviso in quattro libri: il primo descrive i doveri del podestà, supremo magistrato cittadino, il secondo le leggi civili, il terzo le criminali, il quarto l’urbanistica. I testi sono in latino medievale, manoscritti (azzardo) in caratteri gotici il primo libro; in minuscola cancelleresca italiana gli altri tre.

L’immagine mostra i «Codici delle Leggi Municipali» conservati nell’Archivio Comunale in deposito presso l’Archivio di Stato di Parma. Si tratta di quattro pesanti volumi rilegati in cuoio. La copertina, bordata in metallo e chiusa con ganci riproducenti lo stemma del Comune, risale al 1800 ma imita la legatura dei libri antichi. Amadio Ronchini ne ha curato l’edizione negli anni dal 1856 al 1860. C’è qualche differenza tra la periodizzazione riportata nel frontespizio dei singoli volumi (riprodotti nelle immagini) e quella adottata da Ronchini nella sua edizione. La tabella riassume le redazioni e le edizioni:

Vol. INDICE CODICI INDICE RONCHINI

1226-1266 1255

1259-1305 1266-1304

1303-1317 1316-1325

1346 1347

Le immagini che seguono riproducono il testo originale dei capitoli affiancato all’edizione del Ronchini.

Prima di procedere devo osservare che quando ci si avvicina a documenti scritti risalenti del Medioevo vanno messe in conto due difficoltà: la grafia e la lingua in cui sono redatti: il latino medievale. Grazie a Ronchini, superiamo la prima difficoltà; il testo originale delle parti qui utilizzate è stato tradotto in lingua italiana.

Bibliografia

COMUNE DI PARMA, Parma e il suo Comune, a cura di R. PEDRETTI e M. SACCANI, Parma, STEP, 1986.

R. GRECI, Origini, sviluppi e crisi del Comune, in Storia di Parma, vol. III, a cura di R. GRECI, Parma medievale, T. I, Poteri e Istituzioni, MUP, Parma, 2010, pp. 115-167, cfr. box. p. 158.

Gli indizi che riguardano la Corsa dello Scarlatto sono prevalentemente disseminati nel secondo Statuto.

Il Massaro del Comune, anche se non ancora entrato ufficialmente in carica, poteva, solo in occasione dell’Assunta, acquistare sei braccia di scarlatto, una porcella e una misura di vino (galum). Ronchini ritiene che questi ultimi servissero per allestire un banchetto (per chi gli Statuti non dicono); più probabilmente costituivano i premi per coloro che correvano il palio.

Evidentemente si trattava di spese obbligatorie che non avevano bisogno di essere approvate di anno in anno. Il che dà la misura della rilevanza pubblica della corsa.

Galum è stato inteso come “gallo” così, nelle edizioni moderne del Palio, finché è durato questo tipo di premiazione, al terzo classificato è stato consegnato un fiero

esemplare di pennuto. L’uso del Galum (=Gallone) come misura di capacità è abbastanza estraneo alle nostre tradizioni, sarebbe un apax, quindi nessuna meraviglia se il termine è stato tradotto con «gallo».

Che non si tratti dell’animale ma di misura di capacità si può –con il senno di poi- dedurre da una grida sul Palio del 1525, dunque ben più tarda dello Statuto, che assegna al terzo classificato nella corsa dei cavalli un «un gallo» e al quarto «un mezzo» (sottinteso gallone). Non avrebbe senso assegnare un intero animale e poi un mezzo. Più logico pensare ad un gallone e ed un mezzo gallone di vino. Almeno i corridori si saranno dissetati!

Fonti

Statuta Communis Parmae a cura di A. RONCHINI, II, Parma, 1855-1860. 

Bibliografia

E. DALL’OLIO, Sagre mercati e fiere di Parma e provincia, Arte grafica Silva, Parma, 1979, p. 29.

A. TAGLIAVINI, Il Palio di Parma, in PMP, anno I, numero 5, (giugno, luglio, agosto 1989), pp. 9-14.

Coloro che godono del diritto di cittadinanza sono obbligati ad intervenire al triduo dell’Assunzione. La sera della vigilia offrono una candela alla cattedrale e sono tenuti ad assistere alle celebrazioni del giorno della festa e del giorno seguente (San Leonardo). Ogni cittadino deve partecipare con la vicinia nella quale risiede o quella in cui ha il proprio domicilio fiscale oppure dove svolge la propria attività. I cittadini che non partecipano nei modi e nelle forme prescritte sono puniti, in base ad un articolo statutario risalente al 1249, con l’ammenda di 20 soldi parmensi.

La vicinia corrisponde al comprensorio di una parrocchia ed è la minima organizzazione amministrativa cittadina. Ogni vicinia elegge i propri rappresentanti, i consoli, scegliendoli tra coloro che hanno raggiunto l’età minima di 25 anni, risiedono in città almeno da dieci, posseggono una casa nella vicinia e hanno un censo di almeno 100 lire parmensi. Durano in carica un anno e collaborano con gli uffici centrali del Comune sia per l’elezione delle rappresentanze, sia per l’organizzazione dell’esercito.

Ogni vicinia deve convenire alla cattedrale scortata dal proprio gonfalone; nel momento in cui varca la porta della chiesa, due tubatores del Comune, in attesa sotto la porta del duomo, le rendono gli onori a squilli di tromba. I tubatores, otto in totale, due per ogni quartiere cittadino, per l’occasione sfoggiano la nuova uniforme (unum vestitum pulcrum et decentem, dello stesso colore) che deve essere loro annualmente consegnata proprio in festo Sanctae Mariae de agusto.

Inoltre, quindici giorni prima della festa, Podestà, Capitano del Popolo e Anziani dovevano nominare una commissione di sapientes cui era demandata l’organizzazione degli spettacoli legati alla festa: Corsa dello Scarlatto, Bagordi e giocolerie.

Il Comune si preoccupa di garantire la sicurezza dei partecipanti alla veglia in cattedrale la vigilia della festività con un generico capitolo statutario del 1249-1305. La disposizione successiva è specificamente rivolta a tutelate la sicurezza delle donne. Purtroppo non era raro che loschi individui, tanto laici quanto religiosi, molestassero le donne, le costringessero con la forza (extrahantur violenter), ad uscire dal duomo e le sequestrassero (tenent) per stuprarle (vituperant=vitium parare=guastare). Per prevenire i tentativi di violenza, Podestà, Capitano e Anziani affidano la custodia notturna della chiesa a dodici Frati della Penitenza.

I colpevoli degli stupri erano puniti con una multa di trecento lire parmensi; in caso di insolvenza c’era il carcere. La detenzione durava fino al pagamento della sanzione pecuniaria. Inoltre i magistrati cittadini si obbligavano ad intervenire presso il vescovo affinché garantisse il perseguimento e la punizione dei religiosi colpevoli di questo delitto. La veglia delle donne, accompagnata dall’offerta del cero, si tiene successivamente non più in cattedrale ma nella chiesa di S. Andrea. È probabile che il trasferimento sia stato determinato proprio da ragioni di sicurezza. Prima di tutto per evitare la promiscuità che costituiva occasione di pericolo per le convenute, poi perché il luogo, date le dimensioni, era più facilmente sorvegliabile del duomo.

I Frati della Penitenza, provenienti dal mondo dei mestieri, del commercio e delle professioni, costituivano a Parma una confraternita religiosa composta da laici che ambivano a dare un personale e attivo contributo al governo della città. Secondo Ronchini si ispirano pressoché esclusivamente alla spiritualità penitenziale dei Francescani, secondo M. Gazzini la loro afferenza ideale è più vasta. In ogni caso, il Comune assegna loro, spesso indicati come notai, compiti delicati quali: la custodia dei registri di cassa del Comune, i sigilli e la segreteria delle ambasciate, il registro elettorale, i registri dei carcerati, le chiavi del locale delle pubbliche adunanze, la verifica di pesi, misure e prezzi di beni calmierati (es. il vino) la riscossione di dazi, gabelle, mutui, la sorveglianza di cavamenti, strade, ponti. Infine, per quanto maggiormente qui importa, il controllo sulla fabbricazione delle candele (qualità dei materiali, peso) per la celebrazione dell’Assunta.

Fonti

Statuta Communis Parmae a cura di A. RONCHINI, III, Parma, 1855-1860.

Ordinarium Ecclesiae Parmensis, a cura di L. BARBIERI, Parma 1856.

Bibliografia

M. GAZZINI, Assistenza e confraternite tra devozione e civismo, in Storia di Parma, vol. III, T. 2°, a cura di R. GRECI, Parma medievale, Economia, Società, Memoria, pp. 189-212, cfr. pp. 202-204.

Lo Statuto del 1346, che ricalca sostanzialmente i precedenti, stabilisce anche per il Comune l’obbligo di offrire all’altare della Beata Vergine due ceri per l’illuminazione e un palio aureo per l’addobbo della cattedrale in occasione delle più importanti festività religiose.

Il Podestà, straniero, nominato per sei mesi, coadiuvato dalla propria famiglia di funzionari (giudici, notai, milites…) esercitava il potere esecutivo e l’imperium militare, quest’ultimo condiviso dopo il 1266 con il Capitano del Popolo. Il potere legislativo era detenuto dall’Anzianato (Consiglio o Concio) composto da 560 membri elettivi, cinquanta dei quali dovevano obbligatoriamente provenire da Co’ di Ponte (dedlà dal’àcua), dove si stava espandendo la città. Integravano il Consiglio i Capi delle Arti e i Consoli delle Vicinie. Il Massaro del Comune –diremmo oggi l’assessore al bilancio e ai tributi- era autorizzato a fornire –a spese del Comune- ciascun bagordatore di lance e calciarum de saya –sorta di pantacalze/calzamaglia di stoffa ordinaria. La fornitura delle lance da parte del Comune garantiva i contendenti che le armi fossero veramente cortesi, il capo d’abbigliamento permetteva la riconoscibilità dei competitori e offriva la possibilità di dividerli in squadre.

Tutti i possessori di cavalli, i quali in gran parte coincidevano con i milites, erano obbligati a partecipare ai Bagorda: era un modo per dimostrare la propria abilità nel maneggio delle armi. Il Chronicon Parmense ricorda che, con altri giovani e nobili cittadini, partecipano ai bagordi del 16 agosto 1314 i figli e il genero di Ghiberto Gianquirico Sanvitale. I bagordi si svolgono il giorno di san Leonardo per civitatem, ma non nel suburbio presso la chiesa di San Leonardo, come ha invece ipotizzato Ronchini.

Fonti

Statuta Communis Parmae a cura di A. RONCHINI, III, Parma, 1855-1860.

Bibliografia

R. GRECI, Origini, sviluppi e crisi del Comune, in Storia di Parma, vol. III, Parma medievale, T. I, a cura di R. GRECI, Poteri e Istituzioni, MUP, Parma, 2010, pp. 115-167, cfr. box. p. 158

Oltre ai bagordi del giorno di san Leonardo, i parmigiani, secondo la testimonianza di Salimbene de Adam riportata dall’Affò, durante il periodo della quaresima (circa carnisprivium), combattevano per gioco con le armi nel Prato regio. Lo Sturmum, questo il nome della pratica, costituiva per i cittadini, sui quali gravava l’obbligo del servizio militare, un’utile occasione per addestrarsi e mantenersi in esercizio. Gli articoli statutari, per scoraggiare abusi che evidentemente avvenivano, prescrivono che i partecipanti si affrontino esclusivamente a piedi, con spade, mazze e scudi di legno; inoltre al vincitore era proibito sequestrare il vinto per chiedere un riscatto o devastargli la casa e gli averi.

I contravventori sono puniti da ammenda stabilita in base alla qualità delle persone: il pedes doveva sborsare la metà della cifra stabilita per il miles: 30 lire parmigiane contro 60. Luchino Visconti abolirà nel 1346 l’obbligo per i cittadini di prestare servizio militare preferendo affidare la sicurezza propria e della città a truppe mercenarie.

Fonti

Statuta Communis Parmae, a cura di A. RONCHINI, I, Parma, 1855-1860.

Bibliografia

I. AFFÒ, Storia della città di Parma, I.

Nell’agosto 1447, con la morte di Filippo Maria Visconti cessa il dominio della famiglia lombarda sulla nostra città. Parma ritorna libero comune e celebra con particolare solennità la Madonna d’Agosto per festeggiare degnamente la recuperata libertà. Alleata con Milano, si governerà da sé fino al 1449. Il Palio delle donne del 1448 non si disputa preferendo devolvere l’equivalente del premio di VII braccia di panno verde ai piacentini rifugiatisi a Parma dopo il saccheggio della loro città ad opera di Francesco Sforza.

Fonti

Comune di Parma, Gridario, busta 4, in Archivio di Stato di Parma.

Statuta Communis Parmae a cura di A. RONCHINI, III, Parma, 1855-1860.

Bibliografia

A. PEZZANA, Storia di Parma, II, pp. 660-66.

Le gride che seguono attestano la persistenza della celebrazione della Madonna Assunta secondo una tradizione consolidata e, al tempo stesso, testimoniano il mutamento delle manifestazioni legate alla festa. Nel 1467 si tiene una giostra; nel 1489 si disputano diverse gare: una corsa di cavalli per aggiudicarsi un palio de veluto cremisio de braza XXIIII, un palio de pano turchino de braza

VII per li homini, un palio de pano verde de braza VII per le done, un palio di pano biancho di braza VII per li asini. I vincitori saranno solennemente premiati dal Podestà. L’immagine dell’araldo non è coeva alla grida, ma è un disegno tratto dal terzo volume degli Statuti. È stata inserita per dare l’idea di come avveniva la proclamazione delle gride.

Fonti

Comune di Parma, Gridario, busta 2126, in Archivio di Stato di Parma.

Bibliografia

A. PEZZANA, Storia di Parma, II, Appendice XXIII. 

Nel 1493 si tiene in Ghiaia una giostra, quindi un gioco d’armi; poi solo i cavalli parmigiani e non forestieri (un’eco dell’obbligo di partecipare ai bagordi?) corrono un palio de citonino alexandrino, mentre si confermano i consueti premi per le altre gare: un palio di panno bianco per gli asini, uno di panno turchino per gli uomini, ed infine il panno verde per le donne.

Confesso di non aver trovato il significato di “a demellino” che potrebbe essere un errore di trascrizione e di non essere riuscito a stabilire l’esatta natura e il colore del palio di “citonino alexandrino”. Il citonino è una fibra tessile usata anche per confezionare paramenti sacri (Brixia Sacra), posso azzardare si tratti di cotone particolarmente pregiato proveniente da Alessandria d’Egitto ma non mi spingo oltre.

Dopo il 1493 si apre un periodo di instabilità per la discesa in Italia di Carlo VIII e le conseguenti guerre contro i francesi. Parma nel 1521 passa sotto il dominio dello Stato pontificio ma non riprende subito le tradizioni quali la disputa del palio: nel 1522 la celebrazione dell’Assunta si limiterà alla liberazione di un prigioniero, come già avveniva in passato. Per ritrovare il Palio occorrerà attendere il 1525.

L’Archivio di Stato conserva un elenco dei Descritti per correre il Palio dell’11 agosto, riferibile al primo quarto del XVI secolo, che rende noti i nomi dei partecipanti. Nella lista delle donne figurano quattro contadine, i concorrenti uomini sono 21, nella quasi totalità contadini, un ortolano e due ciabattini. Cinque, due dei quali mugnai, disputano il palio degli asini, otto corrono la quintana, altri otto intendono ammazzare il porco o verro.1

1 L’Autore (E. DALL’OLIO, Sagre mercati e fiere di Parma e provincia, p. 29) indica il luogo di conservazione e descrive la fonte senza tuttavia specificare la precisa collocazione della carta. Durante il dominio farnesiano e borbonico il Palio andò identificandosi con occasionali corse di cavalli (corse dei bérberi), finché, caduti i motivi d’ispirazione, agli esordi del XIX secolo la manifestazione cessò del tutto.

Fonti

Comune di Parma, Gridario, busta 2126 in Archivio di Stato di Parma.

Bibliografia

E. DALL’OLIO, Sagre mercati e fiere di Parma e provincia, Artegrafica Silva, Parma, 1979, p. 29.

A. TAGLIAVINI, Il Palio di Parma, in PMP, anno I, numero 5, (giugno, luglio, agosto 1989), pp. 9-14.

La riproposizione del Palio ha comportato alcuni necessari scostamenti dall’evento originale:

❖ La rinuncia alla corsa dei cavalli;

❖ La rinuncia alla disputa nel giorno dell’Assunzione.

Ha mantenuto:

❖ Il nome del Palio: «Scarlatto»;

❖ Il palio degli uomini,

❖ Il palio delle donne assegnato fino al 2018;

❖ Il palio degli asini, corso fino al 2018; ❖

I premi per il secondo e terzo arrivato: una porchetta e un gallo, che già si incontrano nel secondo Statuto, sono stati assegnati fino al 1988.

Ha introdotto:

❖ la nuova data della terza domenica di settembre; la dedica alla «Madonna della Pace», la benedizione del drappo;

❖l’organizzazione degli atleti in squadre corrispondenti alle cinque porte storiche della città;

❖ i capitani della Porte, documentati nel secondo Statuto come comandanti dei Duemila del Popolo;

❖ l’araldica della Porte (colori, stemmi…).

La carta ricostruisce lo sviluppo urbano di Parma fino al 1370 quando la spinta espansionistica è ormai esaurita; secondo le stime la città conta allora 23.000 abitanti, oggi sono 198.122. Parma medievale è amministrativamente ripartita in quattro quartieri corrispondenti alle quattro porte aperte lungo il circuito murario più antico risalente all’età romana.

Bibliografia

Comune di Parma, Parma e il suo Comune, a cura di M. SACCANI e R. PEDRETTI, Parma, STEP, 1986, pp. 68-69.

Così si presenta la città nella carta di Paolo Ponzoni del 1572 disegnata durante il ducato di Ottavio Farnese (1547-1586).

Le Cinque Porte 

In colore le zone di competenza delle Cinque Porte.

Nel 1312 Parma è minacciata dalle truppe imperiali guidate da Guarnerio di Homburg perciò Ghiberto da Correggio ordina che tutte le porte della città siano murate lasciando aperte solo le cinque che, tra alterne vicende, dureranno fino all’abbattimento delle mura avvenuto nei primi anni del 1900. 

Porta Parma o Santa Croce

Anticamente chiamata Porta Parma, sorgeva in Co’ di Ponte, sul torrente, dove si trova l’attuale Ponte di Mezzo. Posta sulla Via Emilia a ovest della città, ha sempre costituito il punto di accesso pressoché obbligato per chi proveniva da Milano e Piacenza Anche questa porta segue l’espansione della città spostandosi verso ovest fino a raggiungere tra gli anni 1210-1212 la definitiva ubicazione presso la chiesa di Santa Croce dalla quale ha preso il nome. Come porta San Francesco, era una porta pellegrina perché da lì entravano i pellegrini romei, provenienti dall'Europa del Nord, che non avevano preso la via Francigena a Santa Margherita di Fidenza, e da lì partivano i pellegrini che da Parma muovevano verso Santiago di Compostela.

Nel 1259 viene rifatta in muratura e nel 1347 munita, per volere di Luchino Visconti, di una rocca con torri, circondata da mura e fossato.

Nei pressi sorgeva il sobborgo di Sant’ Ilario così detto per la presenza di un oratorio intitolato al santo e già esistente prima che Ilario divenisse patrono di Parma. Il luogo è spesso ricordato come il primo ostacolo difensivo che gli assalitori dovevano superare per raggiungere le mura di Porta Santa Croce.

Della porta medievale non rimane traccia. L’edificio ancor oggi esistente, spostato verso nord, fuori dall’asse viario, per proteggere il varco dall’impeto di eserciti assalitori, è stato ordinato da Paolo III nel 1545 e progettato, sembra, dal Torchiarino, ossia Benedetto Zaccagni. Ancor oggi si legge, pur con qualche difficoltà, la seguente epigrafe: Paulo III Farnesorium Familia Pont. Max. e, sotto, Sanctae Crucis. Nelle attuali sopravvivenze della porta, rimangono leggibili tre arcate: la centrale per il passaggio dei carri e dei traini pesanti, le laterali destinate ai pedoni e all'occorrenza impiegate come ingressi sussidiari o di soccorso. Nel ponte superiore, poi, è agevole riconoscere le marcate scanalature dove alloggiava il sistema mobile del ponte levatoio.

Colori e stemma (1978)

Il colore della Porta è il verde, forse più per la presenza dei campi a pascolo e degli orti che non per la speranza. L’animale che la distingue è l'aquila, animale nobilissimo e di grande pregio nell'araldica in quanto rappresenta la virtù e l'intelletto, uniti alla maestosità ed al coraggio.

Albo d’oro

Scarlatto: 1988.

Panno verde: 2008, 2009, 2011, 2012.

Porta San Barnaba

Prima di Porta San Barnaba a nord si trovava Porta Benedetta. Menzionata per la prima volta nel 947, Angeli la dice Flumentana o Eridana perché conduceva al Po. L’unica traccia che si conserva della porta è l’epigrafe che la sormontava, oggi murata nella parete del Seminario maggiore che affaccia su via XX Marzo. Probabilmente la porta si apriva lungo il tratto murario individuato dall’asse Via Melloni, Vicolo del Vescovado, Strada del Consorzio fino ad intercettare Strada Cairoli.

L’allargamento della città verso nord ovest rende necessaria la costruzione, sulla strada per Colorno, di Porta San Barnaba che prende il nome dalla chiesa, sconsacrata ma ancora oggi riconoscibile, posta all’angolo di via Affò con Strada Garibaldi.

Probabilmente la esigenza di un varco settentrionale sorvegliato era già sentita nel periodo longobardo-bizantino quando Brescello, in mano bizantina, poteva minacciare provenienze ostili verso la città. La porta prende il nome dalla omonima chiesa romanica ancora oggi individuabile, dopo gli interventi del 1969/70, all’angolo tra via Affò e strada Garibaldi dove sorge. San Barnaba è colui che presenterà a Gesù Cristo, del quale era discepolo, il proprio cugino Marco l’evangelista.

Tra il 1277 e la fine del XIII secolo, la porta subisce numerosi rifacimenti, per essere nuovamente fortificata nel 1338. Le cronache la ricordano nel 1329, quando la figlia di Rolando Rossi, che andava in isposa ad un figlio di Cane della Scala, venne condotta fuori di Porta S. Barnaba al molino di Forepecora per imbarcarsi e proseguire in nave per Verona, attraverso Colorno e Mantova.

L’accesso al Po era fondamentale per il trasporto delle merci in arrivo e in partenza da e per la città.

Probabilmente Federico II avrebbe conquistato Parma se avesse posto il campo nei dintorni di porta San Barnaba impedendo così che alla città giungessero i rifornimenti da Colorno. Intorno al 1600, durante il ducato di Ranuccio I Farnese, viene riedificata. Era dotata di due ponti levatoi: uno costituiva l'ingresso principale per i carri, l'altro a destra era riservato ai pedoni, mentre l'ingresso di sinistra era cieco.

Nel 1830 Maria Luigia ordina la costruzione di una nuova barriera su via Garibaldi decretando la completa distruzione dell’antica Porta. L'immagine della porta farnesiana ci è conservata unicamente attraverso un disegno.

Colori e stemma (1978)

Sul vessillo di colore rosso campeggiano il Sole e il Leone, in araldica simboli di coraggio.

Albo d’oro

Scarlatto:

Panno verde: 1991, 1996, 1997, 1999, 2002, 2003, 2011, 2004.

Porta San Michele

Nei secoli XI-XII la città si arrestava all’altezza delle odierne Strada XXII Luglio e Strada Cairoli: la chiesa di Santa Cristina dava il nome alla porta ivi esistente.

Ai tempi del più antico Statuto (1255), la città si espande più a est raggiungendo la chiesa di San Michele all’Arco, così detta perché appoggiata ad un arco romano dal quale la porta ha preso il nome.

Nel 1259 viene rifatta in muratura; nel 1329 è, per la prima volta, dotata di un ponte levatoio e nel 1363 Bernabò Visconti vi fa erigere una gagliarda rocca terminata l'anno seguente.

Nel 1514 il cardinale Giovanni Gozzadini, per consentire l’allargamento della carreggiata della via Emilia, ordina l’abbattimento di quanto restava dell’arco e lo spostamento dell’edificio sacro nella sede attuale, come ricorda l’epigrafe posta sulla facciata della chiesa.

Abbandonata fin dal 1812, l'antica porta fu sostituita nelle funzioni fiscali da una nuova barriera in asse con Strada San Michele (antico nome dell’odierna strada della Repubblica), per mutare ancora assetto nel 1880. Durante l'abbattimento delle mura, nei primi anni del XX secolo, la facciata farnesiana venne staccata e ricomposta nel cortile della Rocchetta in Pilotta.

Colori e stemma (1978)

È la detentrice del color oro, simbolo di quella ricchezza e prosperità che, secondo una leggenda, nei primi secoli del Medioevo, caratterizzavano Parma tanto che la città fu detta Crisopoli, cioè città d’oro. Dalla leggenda dell’arcangelo Michele la porta ha derivato il dragone per ricordare ai fedeli che il maligno o il male in genere, inteso come peccato, ma anche come sofferenza fisica in quanto segno di una maledizione o di una colpa da espiare, incombono ma possono essere superati grazie all’aiuto divino.

Albo d’oro

Scarlatto: 1979, 1980, 1981, 1982, 1986, 1991, 1993, 1995, 1998, 1999, 2000, 2002, 2006. Panno verde: 1993, 1995, 2000, 2014.

Porta Nuova

Posta lungo il cardo della Parma romana, è menzionata per la prima nel 935. Angeli la dice Montana perché portava a sud verso i monti o pediculosa=pidocchiosa, forse dagli uomini delle montagne che per quella ne entrano abondanti per lo più di simili sporchezze, rivelando con queste parole il pregiudizio dei parmigiani nei confronti degli abitanti del più remoto contado. Alcuni fanno risalire il termine pediculosa a pedis, unità militare bizantina, altri ancora a pedes (pedoni), dunque strada a loro preclusa; altri a pediculus, sinonimo di colliculus e monticulus con significato analogo a Montana; infine c’è chi intende padiculosa cioè posta in zona paludosa. Il significato attribuito dall’Angeli a pediculosa sembra tuttavia il più plausibile. Prima di accompagnare l’espansione della città verso l’odierna Barriera Farini e prendere il nome di “Nuova” (1261), si apriva sull’attuale Strada Farini in corrispondenza di Borgo Riccio-Strada al Ponte Caprazucca, o appena più a nord lungo l’asse Via Maestri-Borgo Torreggiani.

Nel 1363 Bernabò Visconti vi fece erigere un castello che, corredato da altre opere di fortificazione in modo da essere collegato alla città, divenne la sua residenza preferita allorché dimorava a Parma, come attesta un atto rogato nella sua camera da letto posta entro la rocca di Porta Nuova.

Fino al 1372 Bernabò Visconti continuò a mantenerla in posizione privilegiata, come fece anche, dopo il 1385, il suo successore Gian Galeazzo. Le fortificazioni erano munite di quattro torri collegate da mura merlate con ponte levatoio. Nel 1564 (come ricorda Cristoforo della Torre) il castello era in via di demolizione e di esso rimanevano solo alcune vestigia.

A mutare l'ubicazione della porta, collocandola pressappoco all'incrocio tra gli odierni viali Solferino e delle Rimembranze, interverrà nel 1591 la costruzione della Cittadella. La porta venne aperta, infatti, in una delle muraglie che raccordavano l'antico circuito difensivo della città alla nuova fortificazione. Della porta non rimangono testimonianze relative al periodo farnesiano.

È l’unica tra le porte storiche a non derivare il nome da una chiesa.

Albo d’oro

Scarlatto: 2012, 2023.

Panno verde: 2007, 2015, 2016.

Porta San Francesco

È da porta San Francesco che il 18 febbraio 1248 le truppe parmigiane escono per l’assalto a sorpresa contro la città imperiale di Vittoria. La sortita costringerà Federico II a levare l’assedio al quale la città resisteva da quasi due anni.

Nel 1261, sulla strada per Collecchio, viene edificata in muratura Porta San Francesco intervento reso necessario per proteggere gli insediamenti cittadini dedlà dal’àcua e controllare la fondamentale direttrice Collecchio -Fornovo della via Francigena. Si colloca in un’area da rinforzare con un terraglio protettivo tra l’angolo delle attuali Via Bixio e Borgo San Domenico, nei pressi dell’oratorio detto San Francesco il piccolo, realizzato nel 1227, dal quale la porta prende il nome.

La porta era l’ingresso alla città per legnaiuoli e carbonai provenienti dalla montagna sud-ovest.

Della porta medievale non rimane traccia. Dove il circuito murario aveva raggiunto la sua massima espansione sarà costruita, su progetto del capitano Angelo Angelucci, nella seconda metà dell’800, per celebrare l’unità d’Italia, la barriera daziaria oggi nota come Barriera Bixio.

Chiusa a causa delle guerre del primo trentennio del 1500, l’attuale porta (sede dell’Associazione Famija Pramzana) è frutto dell’intervento urbanistico del secondo duca di Parma Ottavio Farnese (1562-63). La costruzione è stata spostata verso ovest, fuori dall’asse viario, per proteggere il varco dall’impeto di eserciti assalitori. La parte superiore dell’edificio presenta una decorazione barocca con due statue raffiguranti la Legge e la Giustizia. A lato del fornice principale sono riconoscibili le scanalature per l’alloggiamento dei bolzoni del ponte levatoio costruito per superare il fossato creato dalla confluenza dei canali del Cinghio e del Naviglio Taro.

Colori e stemma (1978)

Il colore dello stendardo è bianco. In araldica il Bianco (o argento) è uno dei colori nobili ed indica innocenza, purezza, castità, ma anche vecchiaia e morte. Analogamente il giglio raffigurato nello stemma ha significato di santità. L'animale simbolo è il lupo, chiaramente ispirato al miracolo di Gubbio, ma da intendere in duplice forma di feroce pericolosità e di mansuetudine fedele verso i meritevoli.

Albo d’oro

Scarlatto: 1978, 1984, 1997, 2003, 2004, 2005, 2007, 2008, 2009, 2010, 211, 2012, 2013,2014, 2015, 2016, 2017, 2018.

Panno verde: 2005, 2006, 2017, 2018.

Numerose porte di minore importanza si aprivano sia lungo le mura sia all’interno della città agli sbocchi dei ponti e lungo le mura del torrente. Non è possibile in questa sede enumerarle tutte, per completezza, però, segnaliamo, con lo “sta in pace” quelle riportate sulla carta che rappresenta la città verso il 1370 (p. 44):

❖Porta Bologna: lungo il canale Naviglio, tra Porta San Barnaba e Porta San Michele. Prende il nome da un vittorioso combattimento contro i bolognesi.

❖Porta Stradella: tra Porta San Michele e Porta Nuova, si apre lungo la Stradella diretta a Monticelli-Montechiarugolo.

Lo “sta in pace”

Nel 1347, Luchino Visconti, da poco signore di Parma, ordina, per tenere al sicuro i centri del potere, la costruzione dello “sta in pace”. Si tratta di una fortezza che cingeva la piazza centrale, dove abitualmente in caso di disordini si radunavano i tumultuanti, Anche se sgradito ai cittadini, nel periodo basso medievale non era insolito utilizzare strumenti urbanistici per esercitare sulla città un controllo quasi militare.

Furono murate tutte le porte e tutte le finestre dei palazzi che davano sulla piazza e fu realizzata una cinta muraria, merlata e provvista di torri sulle porte di accesso, aperte in corrispondenza delle principali vie che conducevano in piazza. Il recinto non racchiudeva solo la piazza centrale ma, correndo per un buon tratto oltre la piazza stessa, creava una estesa “zona cuscinetto”.

Partendo da sud, cominciava da Borgo Palmia, piegava a destra in Via Cavestro e, attraversata Via Mazzini, raggiungeva strada Garibaldi, proseguiva verso nord, piegava a destra in via Dante, attraversava via Cavour, proseguiva lungo borgo Santa Brigida, piegava a destra in borgo XX Marzo (ancora oggi è leggibile il varco di via Mistrali), attraversava strada della Repubblica, proseguiva lungo borgo Giacomo Tommasini, piegava a destra in via Nazario Sauro, attraversava strada Farini per ricongiungersi finalmente con il tratto iniziale.

Lo “sta in pace” viene rimesso in funzione dopo l’assassinio del duca Galeazzo Maria Sforza più per proteggere i funzionari che per contenere i disordini.

Nel 1561 il duca Ottavio Farnese fa abbattere quanto ne rimane. I portoni dello “sta in pace” di San Siro (su Strada della Repubblica) e di Santa Lucia (Strada Cavour), sotto la direzione degli ingegneri Gianfrancesco Testa e Benedetto da Torchiara, furono trasformati, mediante opere di legname, in archi trionfali per celebrare l’arrivo in città di Margarita d’Austria, consorte del duca (1550).

Fonti

Statuta Communis Parmae, a cura di A. RONCHINI, I e III, Parma, 1855-1860.

Bibliografia

G. ALBINI, Parma e il suo territorio nel Medioevo, in Storia di Parma, vol. III, T. 2°, a cura di R. GRECI, Parma medievale, Economia, Società, Memoria, pp. 7-49, cfr p. 12

S. BORDINI, Due storie allo specchio. Città e cattedrale nei primi secoli del Medioevo, in Il governo del vescovo, a cura R. GRECI, MUP, Parma, 2005, pp. 29-45, cfr. p. 31 e p. 37.

G. CAPELLI, Porta San Francesco nel circuito bastionato di Parma, Parma, Tecnografica, 1995, in particolare i capp. III e IV, pp. 31-41.

S. LEPRAI, La società urbana. Conflitti e strumenti di pacificazione, in Storia di Parma, vol. III, T. 2°, a cura di R. GRECI, Parma medievale, Economia, Società, Memoria, pp. 313-347, cfr. pp. 336-337.

A. RONCHINI, Statuta Communis Parmae, Prefazione ai voll. I-III, I, Parma, 1855-1860.

A. TAGLIAVINI, Note storiche: le cinque porte, in L’ALTRO SPORT, anno XIV, n. 16, 7 settembre 1993.